La battaglia di verità per Stefano Cucchi deve trasformarsi in una battaglia per la giustizia in Italia e per la difesa dei diritti di tutte e tutti, soprattutto dei soggetti più fragili e a rischio nella nostra società: il tema del rispetto dei diritti umani deve necessariamente riguardare ciascuno di noi. Ci impegniamo per l’introduzione di codici identificativi per le forze dell’ordine; la fine della criminalizzazione della società civile; l’attuazione della riforma dell’ordinamento carcerario; l’istituzione in Italia di un’authority indipendente sui diritti umani; la modifica della legge sulla tortura; lo stralcio della nuova disciplina sulle intercettazioni.
“Un obbligo divenuto ormai improcrastinabile”, spiega Ilaria Cucchi. L’Italia non si è ancora dotata di una Istituzione nazionale indipendente per i diritti umani e risulta inadempiente rispetto alle risoluzioni internazionali di Nazioni Unite e Consiglio d’Europa. L’Istituzione nazionale indipendente sui diritti umani è un organismo incaricato di monitorare, proteggere e promuovere i diritti umani ed è attualmente presente in oltre 120 paesi nel mondo, e in oltre 40 in Europa. “È una realtà che aspettiamo da almeno 20 anni”. L’associazione chiede quindi un’istituzione che si occupi della promozione e del monitoraggio dei diritti umani, con la verifica dell’attuazione delle convenzioni e degli accordi internazionali ratificati dall’Italia. L’istituzione potrà anche formulare raccomandazioni e proposte al governo, portando avanti una proficua collaborazione con gli organismi internazionali preposti. Si occuperà anche dell’analisi delle segnalazioni in materia di violazioni di diritti umani e della promozione presso le autorità, le istituzioni e gli organismi pubblici preposti, nonché le amministrazioni pubbliche, le istituzioni scolastiche e le università.
Il Parlamento “ha approvato una legge inservibile e in totale contraddizione con la convenzione Onu sulla tortura e con le indicazioni contenute nella sentenza di condanna contro l’Italia della Corte europea per i diritti umani del 7 aprile 2015 (Cestaro vs Italia per il caso Diaz)”, spiegano dall’associazione. “È un testo inaccettabile per un paese che intende rimanere nel perimetro delle nazioni democratiche e della Convenzione europea sui diritti umani e le libertà fondamentali”, dice il vicepresidente Fabio Anselmo. “Chiediamo che venga modificata subito: è una legge che sembra concepita affinché sia inapplicabile a casi concreti. Abbiamo denunciato già, in fase di approvazione, il fatto che alla fine avremmo avuto una legge inutile e controproducente ai fini della punizione e della prevenzione di eventuali abusi. Chiediamo una legge contro la tortura che ritorni al testo concordato in sede di Nazioni Unite: garantisce un equilibrato aggiornamento del codice penale e può essere approvato dal Parlamento nell’arco di poco tempo”, conclude l’avvocato Anselmo.
L’amministrazione della giustizia “diventa sempre meno democratica poiché la difesa nel processo penale è ormai appannaggio solo di chi ha notevoli potenzialità economiche”, spiega l’associazione Stefano Cucchi Onlus. “Anche la nuova disciplina sulle intercettazioni, oltre a costituire un inaccettabile bavaglio alla libertà di stampa, conferisce potere esclusivo alla polizia giudiziaria di ascoltare tutte le intercettazioni fatte durante le indagini attribuendo al suo esclusivo sindacato il giudizio di rilevanza o meno delle stesse anche per la difesa degli imputati e delle persone offese”. Quindi “tutte le intercettazioni ritenute dalla polizia non rilevanti non verranno più trascritte e quindi non sottoposte al vaglio del magistrato, costringendo i cittadini normali a fidarsi del giudizio esclusivo della polizia senza poter effettuare alcun controllo e di fatto pregiudicando il diritto di difesa per i cittadini normali. Chiediamo quindi l’abrogazione della legge sulle intercettazioni”.
“Chiediamo che lo studio e gli interventi sul sistema carcerario diventino parte integrante dell’attività dei prossimi parlamentari”, spiega Irene Testa, radicale e tra i fondatori dell’associazione Stefano Cucchi Onlus. “Nonostante il buon lavoro portato avanti dal ministro Orlando, molto ancora c’è da fare soprattutto sulla riforma dell’ordinamento penitenziario. Rimangono esclusi i capitoli più importanti, relativi al lavoro e all’affettività: indispensabili per la piena attuazione dell’articolo 27 della Costituzione. Chiediamo che le carceri siano monitorate costantemente e invitiamo i prossimi parlamentari ad esercitare il potere di sindacato ispettivo. E chiediamo che si trovino soluzioni alternative alla detenzione per le persone malate e con disturbi psichiatrici, che oggi rappresentano la popolazione più numerosa di chi sconta una pena in regime carcerario”.
Un’ipotesi di cui si discute da quasi 20 anni, con molte associazioni che si sono già espresse a favore. “È del 2001 la raccomandazione del Consiglio d’Europa che prevede l’obbligatorietà di un numero identificativo sulle divise degli agenti impegnati in operazioni. E anche il Parlamento europeo ha espresso con chiarezza la necessità, a tutela degli operatori e della cittadinanza”, spiegano dall’associazione Cucchi. “La richiesta non è naturalmente quella di esporre un nome e un cognome, ma un identificativo alfanumerico che avrebbe un duplice effetto di trasparenza: verso i cittadini e a garanzia di tutti gli agenti delle forze dell’ordine che svolgono correttamente il loro servizio”
L’Italia vede un trend crescente di accanimento nei confronti degli ultimi: i poveri, chi si prostituisce, gli accattoni, i senza casa – gradualmente ma costantemente allontanati dal centro delle città e dalla vista della cittadinanza. “Si tratta dii alternative raccontano di città che escludono sempre più. “Chiediamo che le problematiche sociali vengano trattate in quanto tali e non più come problemi di ordine pubblico”. un’impostazione ormai consolidata”, spiegano dall’associazione. “Allontanare il problema invece di prendere in carico le situazioni a livello istituzionale: la ‘pubblica sicurezza’ ha inaugurato una nuova stagione in cui, in nome del decoro, si criminalizza chi vive in condizioni di povertà e si reprime con forza ogni dissenso”. Le ordinanze anti-barboni, l’“architettura ostile”, la creazione di comitati di cittadini per il “decoro”, i daspo contro senzatetto e attivisti, il potenziamento degli sgomberi di occupazioni abitative senza soluzioni.